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É carezza tutto ciò che, riconoscendo l’esistenza dell’altro, comporta una comunicazione affettiva. Da un semplice sorriso a un apprezzamento sincero, da un tocco amichevole a uno sfioramento erotico; le carezze sono gesti semplici, eppure recano con sé un potenziale immenso: donano continuità affettiva e sensuale all’esperienza di vivere.

In questo sono forse gesti tra i più evoluti, capaci di porre gli individui in connessione autentica l’uno con l’altro evocando pensieri d’accettazione, piacevolezza, serenità. In una parola, di riconoscimento.

Le carezze sono i primi indispensabili atti ed esperienze della vita nuova, fin dal momento della nascita. Il tocco della madre ci accoglie, con il suo contatto avvolgente, il suo respiro, il suo odore. La carezza è una forma di “nutrimento” assolutamente essenziale: non esiste forma di vita che non conosca il piacere del contatto, il senso di benessere e il calore che dona una mano sfiorando la pelle.

Ma una carezza non passa solo per le dita: passa attraverso gli occhi, le parole, uno sguardo, un sorriso.

E qui le intendiamo e le celebriamo anche (soprattutto) così: nel loro “senso lato”, nell’essere tutto ciò che, in una relazione tra due anime, implica uno scambio comunicativo, verbale o meno, ed una certa dose di emozione.

La carezza è aprirsi al dialogo, alla condivisione, all’intimità. Ci appartiene, se è antico e innato come il bene il bisogno di ricevere delle conferme, la conferma di esistere, di esistere per qualcuno, magari per tanti. Di cogliere questo soffio di rispettoso amore in modo tangibile.

É carezza il riconoscimento di sé, oltre a quello che ci donano gli altri: chi non ama e non rispetta se stesso, dentro, in profondità, come può amare ciò che è fuori, altro?

Le carezze comunicano tanto, anche se sono istantanee, immediate come soffi. In esse, attraverso il loro esserci, sensibilità ed espressione divengono una cosa sola: una carezza è pronta a cogliere ogni piccola variazione nell’altra persona, la vede, la sente, se ne interessa profondamente.

Sentirsi accarezzati, accolti, protetti, approvati… Confermati: tutto ciò rassicura e nutre la nostra parte più antica e profonda.

Le cerchiamo tutti, anche inconsciamente, come gattini affamati: carezze materne, paterne, amichevoli, di approvazione, di consenso, fino a quelle più sublimi, carezze con cui si esprime l’amore. Con cui si dà e si riceve piacere.

L’effetto delle carezze è penetrante e molteplice, vola assai oltre l’emozione di un contatto, l’attestazione d’affetto e di benevolenza: appaga i sensi e la mente, induce il senso stesso dell’esistere.

Parlarsi attraverso la carezza è istintivo, ma non sempre è facile. Il contatto rompe barriere personali e cortine di protezione, parla un linguaggio vivo, autentico, che smaschera ogni inganno di sorta nella scoperta reciproca. Dinnanzi alla carezza occorre essere “nudi”, ricettivi, generosi ed accoglienti, occorre essere realmente disponibili e pronti all’incontro, accantonare il proprio Ego e fidarsi dell’altro, di livelli comunicativi più profondi e viscerali.

Il contatto, gli abbracci, le carezze, la parola o il gesto che avvolge ciò che tocca, richiamano l’elemento acqua che aderisce ad ogni forma comunicando una vicinanza totale: una fusione. Leleu, nel “Trattato delle carezze”, scrive al riguardo:
“Oltre che un piacere, la carezza è un vero e proprio linguaggio. Gli esseri comunicano con la voce e con lo sguardo, ma quando sentono il desiderio di approfondire un rapporto, questi sensi diventano troppo poco. Solo con il contatto si ha la prova tangibile, palpabile della vicinanza, della comunicazione: si ha la sensazione di essere vivi, di essere desiderati.

Per questo, tra gli effetti più sublimi della carezza, vi è la trasformazione del limite corporale. Sensibilizzare la propria pelle attraverso il contatto e le carezze, equivale a sensibilizzare la propria Identità, avvicinandosi al proprio Sé più autentico. In questo si produce un’auto-valorizzazione, i propri confini si ampliano perché finalmente ci si sente desiderati e apprezzati.

Non dobbiamo trascurare tutto questo, vogliamo ricordarlo parlando della carezza e celebrando il suo valore, più che mai nei tempi odierni in cui rischia di prendere il sopravvento la cultura dell’isolamento, in cui i valori dominanti non sono più solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco, compassione, sensibilità…; bensì indifferenza, ottundimento emotivo, desensibilizzazione, distacco, freddezza e anomia; fino a quella schiacciante solitudine che inabissa tutti nella vita delle città.

Accarezzare ed essere accarezzati è invece un bisogno imprescindibile e un’“mezzo” dolce e potente da rilanciare, per opporre all’indifferenza la vicinanza, al distacco il sentimento della comunità; per diffondere valori positivi, sia pure una cultura d’incontro e accoglienza; per creare quell’atmosfera capace ancora di scaldare e tenere separato l’amore dall’odio.

Non si parla abbastanza di uno strumento così semplice, eppure dagli effetti così grandiosi: noi tentiamo di farlo qui, spaziando dalle carezze psicologiche a quelle intime, dai benefici alle modalità di esprimere fiducia e accoglienza, dalle pratiche virtuose per accarezzare il proprio Sé (il Bambino interiore) ai tanti modi di accarezzare e riconoscere l’altro, nel sociale, nei rapporti familiari, nella vita professionale e nell’ambito educativo.

Scorre la ferma convinzione che una carezza sia, ben oltre il gesto, un atteggiamento, un modo di essere e di stare al mondo, da (re)imparare a coltivare e a diffondere.

La carezza è un tuffo in un sentire, in un Esserci altro, possibile, migliore, è l’intimo riconoscimento del nostro valore come esseri viventi unici: un dono assoluto, suadente, lieve come un tocco, che anche noi vogliamo farvi.

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